Ma chi sono i “minatori” delle criptovalute?

Per molti il compleanno dei Bitcoin (BTC) è il 3 gennaio 2009, il giorno cioè del Genesis Block, quello in cui è stato “minato” il primo blocco sulla Blockchain di Bitcoin. 

Da qui, ecco l’importanza del mining per il funzionamento di Bitcoin e delle criptovalute che si basano su quest’attività per rivoluzionare il sistema delle transazioni tradizionali, introducendo così la decentralizzazione, ovvero il fatto che questa valuta non è controllata da nessuna banca o governo ed è impossibile da censurare. 

In generale, il mining è quell’attività che serve per generare la criptovaluta, cosa che avviene mentre si convalidano e memorizzano le transazioni effettuate in quella criptovaluta sulla sua rete blockchain. 

In pratica, i miner (o minatori) mettono a disposizione la loro potenza di calcolo per risolvere complessi algoritmi matematici che servono per convalidare le transazioni e registrarle nel libro contabile Blockchain. Al termine di ogni blocco minato, lo stesso miner riceverà la sua ricompensa in criptovaluta, che viene quindi generata o “estratta” dalla sua Blockchain di riferimento. 

In media, sulla blockchain di Bitcoin il tempo medio per risolvere un blocco è di 10 minuti. Questo valore rimane costante nel tempo grazie alle variazioni della difficulty, che impone quanto sia difficile o meno trovare una soluzione al blocco. Il valore della difficulty viene aggiustato ogni 2016 blocchi, 2 settimane circa, in modo che nel lungo periodo il tempo di 10 minuti rimanga fisso.

Questo è un importante fattore per la solidità della blockchain. 

I miner, inoltre, mettono in sicurezza la rete da eventuali attacchi e garantiscono un certo grado di decentralizzazione. 

Quest’ultimo punto in particolare è oggetto di discussione da parte dei maggiori fautori della decentralizzazione, in quanto la maggior parte della potenza di calcolo è controllata da poche figure. Basti pensare che attualmente più del 50% della potenza totale è in mano a sole 6 mining pool.

Non tutte le criptovalute prevedono le operazioni di mining per funzionare. Ma solo quelle che hanno una Blockchain basata sulla Proof-of-Work (PoW), ovvero una “prova lavoro” per poter emettere le sue criptovalute come ricompensa. Tra queste c’è il Bitcoin.

Oggi per minare Bitcoin è necessario utilizzare gli hardware ASIC che consumano grandi quantità di energia. 

Secondo le stime della Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, infatti, l’elettricità totale utilizzata per il mining di Bitcoin sarebbe maggiore del consumo energetico annuale di Paesi come la Finlandia. Ecco perché Cina, Islanda, Iran, Kazakistan e Kosovo hanno bannato il mining nei loro Paesi. 

Nello stesso tempo, però, c’è chi invece di interrompere l’attività base per il funzionamento di Bitcoin e delle criptovalute PoW, sta effettuando degli sforzi per ottenere un mining più green, utilizzando energia rinnovabile. 



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