È giusto ridurre il prezzo della benzina?

Qualche giorno fa, come tanti pendolari, sono stato coinvolto dai disagi di uno dei tanti scioperi del personale del trasporto pubblico locale (nota bene: ragioni perfettamente comprensibili, perché la protesta era contro le tante aggressioni subite sui mezzi da chi ci lavora). Invece di rientrare a casa per le 15, come sarebbe accaduto se avessi avuto l’automobile, ho girato le chiavi nella serratura alle 19.

24 ore prima, stessa situazione. Rientro da ufficio dopo giornata in cui, per ragioni di lavoro, ho dovuto prendere l’automobile. 2 ore e 20 minuti di percorso in tangenziale rispetto ai canonici 50 minuti: nessun incidente, solo congestionamento delle strade.

Parto da qui per proporre la riflessione di questa settimana: davvero ci serve il taglio delle accise sulla benzina che il governo ha prorogato fino al prossimo ottobre?

La misura, benedetta e necessaria a marzo quando i morsi dell’inflazione cominciavano a farsi sentire insieme a quelli della crisi energetica, forse segna il passo. O dovrebbe segnarlo.

Sono un economista: le accise sono una forma di imposizione attraverso cui lo stato raccoglie gettito, utilizzate spesso per disincentivare il consumo di un certo bene: le sigarette, il cibo contenente una percentuale di grasso, il gioco d’azzardo. Il carburante. 

Le accise da un lato servono allo stato per garantirsi entrate sicure: spesso si tratta di beni la cui domanda non è per niente elastica e per questo, anche di fronte ad aumenti di prezzo, non si assisterà a un crollo dei consumi.

Dall’altro, proprio l’introduzione di una tassa è la leva attraverso cui scoraggiare certi comportamenti e facilitarne altri.

Le domande, dunque, sono importanti: vogliamo davvero favorire una transizione verso un’economia a meno intensità carbonica?

Se sì, che il prezzo della benzina salga è sicuramente un modo per spingere le persone a considerare un’alternativa in termini di mobilità.

Continuare a ridurre il prezzo della benzina allevia il conto di una famiglia in difficoltà (forse, su questo ci torno dopo), ma non cambia le carte in tavola rispetto al succo della questione: l’uso dell’automobile.

Se la freccia che lampeggia indica il casello, l’imbecille guarda la freccia che lampeggia.

In Germania, nello stesso periodo di sterilizzazione delle accise, il governo ha introdotto importanti agevolazioni sugli abbonamenti al trasporto pubblico: si obietterà che parliamo di infrastrutture e di un’efficienza diversa, ma ribatto dicendo che da qualche parte bisognerà pur cominciare.

Anche con un sistema di trasporti pubblici scalcagnato e pieno di buchi, spingere in qualche modo la domanda può essere un modo di mettere il pepe (termine tecnico) sul sedere del policy maker che nicchia rispetto agli investimenti.

Ci siamo riempiti la bocca di PNRR e occasione epocale per il nostro paese: cogliamola.

Dulcis in fundo, un aspetto da non sottovalutare: se l’intento del taglio delle accise è aiutare le famiglie in difficoltà, forse lo strumento non è il più adatto.

Come mostrato in un bell’articolo di Brunori e Coco, dopo due anni di pandemia e con l’inizio di una fase inflazionistica allarmante le famiglie più in difficoltà sono sicuramente quelle meno abbienti. E tuttavia si tratta di persone che per necessità riducono già i loro consumi all’osso, al punto da non avere grandi margini di aggiustamento. La strada delle opzioni di comportamento, per queste persone, è stretta ed è fondamentale che la politica si occupi di loro. Ed è proprio da questo punto di vista che lo sconto alla pompa non sembra la migliore delle idee. Secondo i dati Istat del 2020 elaborati dagli autori, la spesa per carburanti è maggiore all’interno delle famiglie più ricche. Miliardi di euro, dunque, destinati a ridurre il prezzo dei carburanti finiscono in maggior parte nelle tasche degli italiani meno in difficoltà, senza contare la riduzione di gettito che non può essere usato per altri scopi e obiettivi.

Negli anni ’70, la crisi petrolifera fu per certi versi devastante ma fu anche l’occasione di ripensare i comportamenti e gli stili di vita delle persone. Per banale che sia, una crisi ha sempre in sé il germe delle nuove opportunità. 

Vogliamo coglierle o continuare a invocare la moda sostenibile del momento, lamentando l’inerzia di Sapiens che non ascolta il lamento del pianeta che lo ospita?



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