E se per far pagare le tasse imparassimo dalla Repubblica Dominicana?

Premessa

Pagare le tasse, benché esse finanzino i nostri servizi di cittadini e siano fondamentali, è innegabile che dia un po’ fastidio, perché significa vedere il proprio conto corrente che si svuota. E infatti, contrariamente alla famosa frase di Benjamin Franklin secondo cui nulla è certo al mondo se non la morte e le tasse, molti Paesi faticano a riscuoterle (l’Italia è tra questi, ça va sans dire).

E allora come incoraggiare i contribuenti a pagarle per tempo, riducendo così anche il fenomeno dell’evasione?

Questa è la storia di come il governo dominicano riuscì, con una spinta gentile, a incoraggiare i cittadini a pagare le tasse.

La spinta gentile è la traduzione data alla parola inglese nudge che, nelle scienze sociali, indica quegli interventi attraverso cui un designer comportamentale modifica il contesto in cui una persona fa una scelta cercando di renderla più semplice. È gentile perché non è un tentativo manipolatorio di condizionare i comportamenti ma, semmai, di esaltare la nostra libertà di cittadini mettendoci nelle condizioni di fare scelte più responsabili

La storia

La Repubblica Domenicana aveva un problema. Milioni di cittadini non stavano pagando le tasse che dovevano al fisco. Il livello di evasione fiscale del piccolo stato caraibico era più alto che negli altri stati della regione. Nel 2017, il 62% delle aziende dominicane non pagò l’imposta sui profitti, mentre il 57% delle persone fisiche non pagò l’imposta sul reddito. È davvero un sacco di denaro perso!

L’ipotesi

Chiunque decide di non pagare le tasse fa un’analisi costi-benefici della sua scelta e conclude che i possibili vantaggi (più profitti da portare a casa) superano le possibili perdite (multe o carcere, sanzioni spesso difficili da comminare in pratica). Nel 2018, l’equivalente dell’Agenzia delle Entrate mise in atto una campagna rivolta ai cittadini con l’aiuto di un team di ricercatori americani, John List (Chicago University) e i suoi colleghi. L’obiettivo della campagna era di rendere più evidenti i costi dell’evasione per dare loro più peso, rispetto ai vantaggi derivanti dal non pagare.

L’esperimento

Il punto chiave della campagna consisteva in una serie di messaggi che il governo inviava ad aziende e cittadini.

Uno dei messaggi dei ricercatori informava o ricordava alle persone la possibilità di finire incarcerati per evasione fiscale.

L’altro messaggio informava o ricordava invece l’esistenza di una nuova legge che rendeva le sanzioni comminate per evasione fiscale parte di un registro pubblico. In altre parole, i nomi degli evasori sarebbero stati resi pubblici a chiunque nella Repubblica Domenicana. Questa enfasi sulla pubblicità delle informazioni voleva attivare un meccanismo di pressione reputazionale e avversione alle perdite che muove tutti i noi in modo diverso: ci teniamo alla nostra immagine pubblica e non vogliamo che si sporchi di qualche macchia.

Quando arrivò il momento delle tasse, vennero mandati messaggi a 28mila liberi professionisti e a più di 56mila aziende dominicane. Metà riceveva il messaggio sulla durata del carcere in caso di condanna per evasione e l’altra metà riceveva le informazioni relative alla pubblicità dei nomi degli evasori in un registro. Con questo incentivo comportamentale (nudge), l’analisi costi benefici per un potenziale evasore diventava tutto a un tratto molto diversa.

I risultati

Cha – Ching: l’intervento ebbe un grande successo!

Nel 2018, la campagna basata su questo tipo di messaggi aumentò il gettito fiscale di più di 100 milioni di dollari (più dello 0,12 per cento del PIL della Repubblica Dominicana quell’anno), soldi che non sarebbero mai stati incassati senza l’esperimento dei ricercatori americani.

Cosa possiamo imparare

Non sorprendentemente, dei due messaggi quello con la minaccia del carcere fu il più efficace; dopo tutto, la perdita della libertà è qualcosa per la quale ogni essere umano si mostra particolarmente sensibile. Tuttavia, incarcerare davvero una buona fetta della popolazione è praticamente impossibile, né è etico o realizzabile concretamente.

Anche il messaggio sul registro pubblico degli evasori risultò parecchio efficace; minacciare la perdita di reputazione portò nelle casse dello stato diversi milioni di dollari in più di gettito. E tieni in considerazione che fu utilizzata solo una piccola frazione della popolazione complessiva di contribuenti. Su larga scala, la strategia comunicativa avrebbe generato molto più gettito e con costi molto più bassi dei benefici.

Forse non lo ricordi, ma qualche anno fa l’allora ministro dell’Economia Vincenzo Visco provò a rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi degli italiani: il polverone sollevato fu tale che in pochi giorni i dati furono cancellati dal sito e non se ne fece niente, ma scopo di iniziative simili non è diverso da quello dell’esperimento descritto.

L’incentivo giusto

Disegnare gli incentivi giusti per migliorare le nostre scelte non è semplice, ma ci sono dei tratti della natura umana abbastanza comuni e sui quali agire può generare un vero impatto: tra questi, sicuramente, c’è la sensibilità per la propria reputazione. Incentivare le persone a conservare questa reputazione rispettando certe norme sociali può sicuramente avere un impatto sui comportamenti, spesso in modo molto positivo.

Inoltre, questo tipo di incentivi si può applicare su larga scala efficacemente perché più una norma è considerata diffusa (o, detto altrimenti, più violare quella norma viene stigmatizzato) e più si è incentivati a rispettarla.

Riferimento della letteratura scientifica: Justin E. Holz, John List, Alejandro Zentner, Marvin Cardoza, Joaquin Zentner The $100 Million Nudge: Increasing Tax Compliance of Businesses and the Self-Employed using a Natural Field Experiment



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