Come può un giovane rimpolpare una pensione che sarà minima

Il nuovo sistema pensionistico, le retribuzioni rasoterra e l’allungamento dell’aspettativa di vita hanno creato un mix esplosivo, che mette a rischio la tenuta della società, e c’è da correre ai ripari subito, per capire come rimpolpare quell’assegno sin da ora, nella speranza che nel frattempo qualcosa si aggiusti. Ma quali sono le strade? E da dove si comincia? Lo abbiamo chiesto ad alcuni esperti.

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Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Lavorare fino a 74 anni e ritrovarsi con una pensione di 1.000 euro al mese o poco più. Lo scenario è desolante, se non drammatico, per chi oggi ha meno di 35 anni, almeno stando a uno studio condotto qualche mese fa dal Consiglio Nazionale dei Giovani con Eures, sulla base dei dati dell’Inps. Anche i dati Ocse non sono tanto più ottimistici: secondo le stime, gli attuali ventenni saranno costretti a lavorare almeno fino a 71 anni.

Che pensione avrai e quanto ti servirà

Rimpolpare la pensione, dicevamo. Ma di quanto? Di quale integrazione avrai bisogno una volta che avrai finito di lavorare e vivrai con l’assegno del nostro ente di previdenza? Per capirlo puoi cominciare con alcuni conti. Per iniziare, va detto che il giorno in cui andrai in pensione, ti sarai presumibilmente liberato di alcuni “pesi” importanti, come il mutuo o le spese per i figli, e potresti voler condurre un’esistenza più tranquilla e meno dispendiosa di adesso. D’altra parte non sai quali potrebbero essere le tue condizioni di salute, né cosa ti riserva il futuro. Fatto salvo casi eccezionali, gli esperti di previdenza stimano che in questa fase, per mantenere lo stesso tenore di vita del passato occorrono in media tra il 70-90% delle entrate che si hanno nella vita lavorativa, altri parlano dell’80%. Le stime sull’Italia, però, ci dicono che, mediamente, le pensioni di chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996 saranno all’incirca la metà dei loro stipendi. Se vuoi farti un’idea più precisa, puoi ricavarti un dato realistico usando il simulatore della pensione dell’Inps o del tuo ente di previdenza, che è in grado di dare un’idea realistica, partendo dai contributi versati.

Quanto e quando risparmiare per la pensione

Avere un’idea quanto più precisa di cosa ti aspetta, ti aiuta ad agire subito. Partire dalla rendita mensile che idealmente ti servirebbe, inoltre, può aiutarti a fare delle simulazioni e capire quanto dovresti investire, ma c’è da fare i conti con le risorse a disposizione oggi. Molti esperti consigliano di accantonare da subito almeno il 10% della propria retribuzione netta. «In realtà la cosa più importante è iniziare a occuparsi di questo tema il prima possibile, non appena si guadagnano i primi soldi. Prendere coscienza e cominciare, anche con piccole cifre» spiega Elisa Lupo, consulente del lavoro e curatrice della rubrica Previdenti. «Più si è giovani, più si è avvantaggiati, e se si desidera per esempio puntare su un fondo pensione si può partire con cifre piccole, perché il tempo fa da moltiplicatore dei guadagni». (Lo spieghiamo qui, ndr). Abbiamo visto, facendo dei test sui simulatori della previdenza complementare, che iniziando a versare a 30 anni 85 euro al mese in un fondo pensione, si arriva ad accumulare a fine carriera circa 100.000 euro.

Come organizzarsi con pochi risparmi: la strategia dei tre secchi

A questo punto, una domanda che molti si fanno è: come riuscire a far convivere l’esigenza di dover risparmiare per la pensione con quella di dover accantonare altri soldi per esigenze altrettanto importanti, ma più immediate? Un metodo abbastanza efficace è quello di usare la strategia dei tre secchi. Si parte dalla capacità di risparmio mensile, dalla somma cioè che si è in grado di mettere da parte ogni mese sulla base del proprio bilancio personale, e si divide l’importo in tre capitoli, uno per priorità. Nel primo “secchio” ci sono i risparmi che servono in caso di emergenza da usare cioè per le necessità immediate, come il meccanico o il dentista; nel secondo gli obiettivi a medio termine, come l’acquisto di una casa, un matrimonio, una vacanza; nel terzo quelli della pensione. In questo modo sarà più facile bilanciare le esigenze senza farsi travolgere dai bisogni immediati. Inoltre, va considerato che se si parte in anticipo si possono dedicare al “secchio” pensione anche solo 50 euro al mese, e poi, se è possibile, aumentare la quota in futuro.

Le risorse destinate ai tre obiettivi andranno tenute separate: quelle del fondi di emergenza dovranno essere liquidabili subito, e restare quindi sul conto corrente o in un salvadanaio virtuale; quelli per le spese future potrebbero essere investiti, ma usando una strategia a breve o a medio termine. Infine, i fondi per la pensione, dovranno avere una destinazione a parte e un’attenzione particolare, perché sono la tua assicurazione sul futuro.

Il fondo pensione

Veniamo ora al punto. Come impiegare quei risparmi? La via considerata più “naturale” per integrare la pensione è dirottare i risparmi in un fondo pensione. Chi ha un lavoro dipendente può destinare alla previdenza direttamente il proprio Tfr, evitando ulteriori esborsi, ma anche gli altri possono cominciare con piccolissime cifre. Il fondo pensione dà grandi vantaggi fiscali rispetto agli altri tipi di investimento, perché i contributi volontari versati possono essere dedotti dal reddito fino a 5.164,57 euro, e sui rendimenti grava un’imposta che parte dal 15% per scendere progressivamente dopo il nono anno di versamenti (vedi qui), ben più bassa del 26% previsto per la maggior parte dei prodotti di investimento. «Inoltre, il fondo pensione ti restituisce direttamente una rendita mensile, e non un capitale, quindi ti dà direttamente un’integrazione all’assegno della pensione, per tutta la tua vita. I tuoi risparmi vengono gestiti in un fondo che li investe al posto tuo, secondo il profilo di rischio scelto da te, e anche se parti da poco, puoi decidere di effettuare versamenti aggiuntivi» spiega Lupo. «Naturalmente prima di scegliere devi sapere alcune cose, per esempio che se sei dipendente ti conviene scegliere il fondo negoziale, quello legato al tuo contratto di lavoro, perché i prodotti di questa categoria  sono di gran lunga meno costosi – dunque garantiscono un ricavo finale più alto – e poi informarti sul profilo adatto a te. Se per esempio sei molto giovane, non ti conviene investire in un segmento garantito perché il rendimento è bassissimo» dice Elisa Lupo.

Lo “svantaggio” del fondo pensione

Va detto che i soldi che versi nel fondo pensione possono essere anticipati e riscattati solo in casi di necessità molto particolari, come l’acquisto della casa o la ristrutturazione, malattie importanti o la perdita del lavoro  «Non lo definirei però uno svantaggio, questo», continua Lupo. «Anche i contributi che versiamo alla cassa di previdenza sono vincolati, perché hanno una destinazione precisa. È il nostro mindset che deve cambiare: se quei soldi mi servono per la pensione non devo poterli usare, salvo appunto casi eccezionali, altrimenti la loro finalità è perduta».

Il riscatto della laurea: perché non serve

Molti sono convinti che anche riscattare la laurea possa aiutare a rimpinguare l’assegno mensile. «Ma non è assolutamente così» dice subito Elisa Lupo. «Questo strumento serve per “comprare tempo”, uscire prima dal lavoro, ma il denaro impiegato non si trasformerà in un aumento del nostro assegno, o comunque le cifre saranno davvero trascurabilissime. Inoltre, il riscatto non è qualcosa da fare all’inizio della carriera lavorativa, perché in questa fase nessuno di noi sa ancora se quegli anni gli serviranno davvero, è troppo presto: oggi sia i percorsi lavorativi sia il sistema pensionistico sono in continua trasformazione. Poteva valere un tempo, quando il sistema di calcolo delle pensioni era differente e la maggior parte dei lavoratori aveva un percorso lineare, ma oggi non più».

Il Tfr lasciato in azienda

Molti, per integrare la pensione fanno affidamento sul Tfr, la liquidazione che al momento dell’uscita dall’azienda, il datore di lavoro lascia ai propri dipendenti. Se non la si destina al fondo pensione, si ricava a fine carriera un tesoretto da usare eventualmente al momento dell’uscita. Il Tfr ha il vantaggio di essere rivalutato ogni anno dell’1,5%, percentuale a cui si somma una quota pari al 75% dell’inflazione annua, ma al momento dell’erogazione viene tassato pesantemente, perché ha un’aliquota che parte dal 23%, e varia a seconda del reddito degli ultimi 5 anni. Inoltre, chi lascia i risparmi in azienda deve tenere presente anche il “rischio di credito”, e cioè il rischio che chi accantona i nostri risparmi per noi, vada in default. Vero è che l’Inps ha un Fondo di garanzia per il Tfr e la liquidazione dei crediti di lavoro, e si fa carico in questi casi di corrispondere ciò che spetta ai lavoratori, ma prima di valutare questa opzione va sempre valutata la solidità dell’impresa per cui si lavora.

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