Ho congelato gli ovuli: i soldi meglio spesi della mia vita, insieme a quelli per la psicoterapia

Carlotta ha 36 anni e cresce in una famiglia benestante, che nonostante alcuni momenti di difficoltà economica, riesce a garantirle molte possibilità. Da quando è bambina, i suoi genitori le insegnano che i soldi servono per aprire la mente, ed è per questo che il loro obiettivo è sempre stato metterli da parte per viaggiare e fare nuove esperienze. A 36 anni, Carlotta fatica a far quadrare i conti della sua vita quotidiana, sia dal punto di vista economico sia personale: ha un lavoro precario e non ha un compagno. Ma dai genitori ha imparato a mettere da parte ogni giorno qualcosa in vista di un obiettivo preciso. Così, dopo la fine di una relazione piuttosto importante, quell’obiettivo prende forma anche per lei: la crioconservazione degli ovociti. Con un po’ di paura e alcuni momenti di titubanza inizia la liturgia di controlli ed esami che la porta, qualche mese dopo, a effettuare l’operazione. Una scelta difficile che ha portato a un dialogo familiare non sempre facile, ma che per Carlotta ha rappresentato un investimento sulla sua libertà.

Questo percorso mi ha reso veramente felice ed è riuscito a infondermi una grande serenità, nonostante sia stato una batosta economica. Però sono stati i soldi meglio spesi della mia vita, insieme a quelli della psicoterapia. Anche questa operazione è stata parte della mia salute mentale e del guardare al futuro con più tranquillità.

Carlotta un anno fa ha deciso di congelare i suoi ovociti. E qui ci racconta il viaggio emotivo, e pratico, che l’ha condotta fin qui.

I soldi servono ad aprire la mente

«Fin da piccola ho viaggiato in tutto il mondo facendo viaggi incredibili. Sono stata in Siria, negli Stati Uniti, in Libano, in Asia, veramente ovunque. Per i miei genitori la cosa importante era poter viaggiare».

Carlotta cresce in una famiglia benestante, che ha attraversato due importanti momenti di difficoltà economica, ma che riesce a garantirle molte possibilità.

«Quindi avevano sempre avuto più di un mutuo e non hanno mai badato alla macchina nuova o alla casa di lusso. Tutto era focalizzato sul poter fare delle belle esperienze».

L’educazione finanziaria di Carlotta passa attraverso quell’obiettivo comune attorno a cui si costruisce la narrazione familiare, ovvero il viaggio.

«I miei genitori mi hanno sempre reso partecipe di quanto costasse la vita: “Se compriamo questa cosa poi non possiamo andare in vacanza”; “Se vogliamo fare la settimana bianca a Natale, dobbiamo risparmiare in questo periodo”».

Era tutto improntato a poter poi andare in camper in America e farmi vedere un altro pezzo di mondo. Hanno sempre detto che i soldi servono per aprire la mente.

Oggi Carlotta pensa a quei viaggi come a un’altra vita.

«Io lavoro, guadagno, ma non mi potrò mai permettere di fare la vita che ho fatto da adolescente o da bambina e di farla fare ai miei ipotetici figli futuri, perché oggi il costo della vita e il costo dei viaggi è molto più alto».

A ciò si aggiunge la precarietà del lavoro: Carlotta si occupa di analisi scientifiche applicate all’archeologia subacquea. Lo fa in un ufficio pubblico, ma con un contratto rinnovato annualmente. Suo padre, invece, aveva lavorato in banca tutta la vita, mentre sua madre era un’impiegata al ministero degli Esteri. 

«Io poi lavoro a partita Iva quindi loro faticano a capire la mia sensazione di perenne precarietà su qualunque fronte della vita. Su questo tema c’è un dibattito, anche un po’ acceso, perché non si rendono conto. Mio padre si è laureato e dopo un giorno è stato contattato da dodici banche diverse che gli hanno chiesto di andare a lavorare per loro. Oggi è impensabile. Mia madre ha fatto venti concorsi pubblici, ne ha vinti due, ne ha scelto uno e ha lavorato tutta la vita per lo Stato. Il mio concorso non esce da 30 anni. Il rapporto che ho coi soldi io non è minimamente paragonabile alle possibilità e disponibilità che avevano loro».

Carlotta fa il lavoro che sognava, con una parte di docenza a contatto con gli studenti, una parte sul campo in immersione e una parte di laboratorio. Vorrebbe solo più certezze.

«Diciamo che in un futuro non mi vedo come libera professionista. Spero a un certo punto di poter partecipare a un concorso, di vincerlo e poi di essere strutturata nel posto in cui lavoro oggi». 

Anche sul piano personale si immaginava diversamente.

Quando ero piccola sognavo una famiglia simile a quella che avevo avuto, possibilmente con dei fratelli. Dall’adolescenza in poi mi sono sempre immaginata con dei figli e non avevo idea dell’età a cui avrei potuto avere una famiglia mia. Però probabilmente alla mia età non mi sarei immaginata single.

Sua madre l’aveva avuta relativamente tardi, a 36 anni…

«Quest’anno ho scavalcato l’età a cui lei mi ha avuto ed è stato un anno determinante anche per questo motivo». 

La voglia di farcela da sola

Carlotta guadagna poco ma si mantiene da sola ormai da dieci anni, anche grazie al fatto che abita in una casa che appartiene a sua madre. 

«È una casa che adoro ma che non ho scelto, quindi non mi immagino qui per tutta la vita. Ovviamente anche questa è una posizione di privilegio perché non pago un affitto, però vivere da sola è costosissimo. Un’indagine Istat dice che vivere da soli costa il 47% in più rispetto a condividere le spese anche solo con una persona e di questo ne sono pienamente testimone». 

Lo stipendio di Carlotta, anno dopo anno, è cresciuto; a parte la tragica parentesi del Covid, durante la quale si è rifiutata di chiedere aiuto ai suoi. 

«Non ho chiesto aiuto ai miei perché dal primo giorno di stipendio ho sempre messo da parte qualcosa, anche pochissimo. Durante il Covid non avevo un contratto in essere con l’istituto per cui lavoro e quindi ho vissuto con i soldi che avevo da parte, che erano circa 11.000€, che non so come mi sono bastati per un anno e mezzo. È stato tragico e ho dato fondo a tutti i miei risparmi. Poi dal nuovo contratto ho ricominciato ad accantonare».

Sono stati due anni terribili in cui mi sono resa conto di cosa significa avere questo tipo di problema che io non avevo realmente mai toccato con mano. Da quando ho iniziato a lavorare, per me è impensabile chiedere un aiuto di qualunque tipo.

In questa fatica di chiedere aiuto c’è un senso di pudore verso la buona sorte.  

«Sono consapevole di essere stata, rispetto ad altri coetanei e anche alcuni amici, una privilegiata a poter fare tante esperienze. Mio padre mi dice sempre che i genitori ci sono anche per quello e io gli rispondo: “No, voi non siete un bancomat”. I genitori fanno i genitori e io ho sempre voluto farcela da sola. La necessità di dover chiedere un eventuale prestito anche piccolo mi dimostra che non ce la faccio da sola».

Risparmiare per i propri obiettivi

Carlotta fatica a far quadrare i conti della vita quotidiana ma dai genitori ha imparato a mettere da parte ogni giorno qualcosa in vista di un obiettivo ben preciso. A un certo punto, due anni dopo la fine di una relazione importante, durata quasi dieci anni, quell’obiettivo prende forma anche per lei. E non è un viaggio, bensì la crioconservazione degli ovociti.

«Quando avevo circa trent’anni, ho letto un articolo su internet di una ragazza che aveva fatto questa scelta per puro scopo precauzionale in quanto non aveva problemi di infertilità, non era in coppia né aveva particolari problemi di salute. Così ho pensato che anche io volevo farlo».

Quando ho iniziato a informarmi sono andata in due centri di ricerca in rete e avevo visto che il costo era molto elevato. Io già lavoravo, però non avevo la possibilità economica per permettermelo

Carlotta ripone quel proposito in un angolo del cervello. Ai tempi non se ne parlava moltissimo. 

«Quindi, quando ne ho parlato all'inizio con un paio di amiche, mi hanno guardato con gli occhi di fuori: “Siamo giovani”, mi dicevano. Ma è proprio perché eravamo giovani che dovevamo pensarci». 

Intanto Carlotta, dopo quattro anni da single, incontra un nuovo amore. 

«Ed è stata la seconda persona nella vita con cui mi sono immaginata un futuro e una famiglia».

Nonostante ciò, durante la relazione, Carlotta accantona  momentaneamente il tema della maternità.

«Mi stavo godendo la storia con questo compagno e, dopo tanti anni, ero anche molto impaurita da una nuova relazione. Stavo cercando di capire e di sentire come stavo con lui e come stava lui, quindi il pensiero della maternità non è stato preponderante».

La fine di questa relazione arriva a febbraio 2020, poco prima che la vita sociale dell’intero pianeta venga messa in pausa forzata dalla pandemia.

È stato un periodaccio nell’ambito del quale ho anche dovuto affrontare la fine di questa storia. È stato terribile: un dolore sempre enorme in cui comunque, nel frattempo, io ero più grande. Possiamo far finta di avere vent’anni, ma biologicamente non siamo più le stesse

«Sicuramente il covid ha avuto una qualche influenza sulla volontà di farlo il prima possibile, anche perché fino a un po’ di anni fa la crioconservazione degli ovociti, che ora chiamano social freezing, la facevano soltanto entro i 35 anni. Poi hanno visto che ogni donna ha delle caratteristiche differenti, quindi si adegua in base alla situazione».

E così nel 2021 Carlotta comunica alla sua ginecologa la volontà di procedere con l’operazione.

«E lei ovviamente mi incentiva. “Purtroppo è costoso, però se hai la possibilità io lo consiglio assolutamente”, mi dice. Così, mi dà il numero di una sua collega, io però tergiverso: mi prendo questo contatto e aspetto un po’».

In quei giorni, Carlotta riceve la chiamata di un’amica, che la invita alla presentazione di un libro che deve leggere assolutamente, In fondo al desiderio, scritto da Maddalena Vianello: una raccolta di dieci storie di donne che hanno in modi differenti affrontato il percorso di procreazione assistita. Una di queste storie parla proprio di una ragazza single che congela gli ovociti. 

«Inizio a leggere le prime cinque storie e mi commuovo dalla prima pagina. Anche perché poi è ambientato a Roma e ci sono una serie di scorci di quartieri che per me sono casa. Mi immedesimo molto in questa ragazza che inizia il suo percorso passeggiando per Villa Pamphili o per le vie di Monteverde». 

Dopo la presentazione del libro, dentro di me qualcosa si sblocca e decido di prenotare un appuntamento con la ginecologa

Siamo arrivati a marzo 2022. Carlotta si presenta con un foglio con su scritte 15 domande.

«La prima domanda che mi faccio è: se io faccio la crioconservazione in Italia e tra quattro anni ho un forte desiderio di maternità ma non ho un compagno, posso portare questi ovociti all'estero e fare la fecondazione oppure, per tenermi aperta la possibilità di una maternità da donna single, devo fare tutto il percorso da zero direttamente all'estero? La ginecologa mi risponde che si dovrà pagare una spedizione internazionale molto costosa, ma che si può fare».

Parte così la liturgia di controlli per stabilire che il corpo di Carlotta sia d’accordo con questa pratica. 

Passo un tot di mesi a fare screening di ogni tipo. Ho accusato molto l’ansia fin dalla prima spesa, tra analisi genetiche o analisi del sangue, dosaggi ormonali, tutto.

Il verdetto è positivo: si può fare, l’età biologica di Carlotta è 10 anni meno di quella anagrafica. L’operazione viene fissata a luglio ed è preceduta da due settimane di punture nella pancia, che impara a farsi da sola, per la stimolazione ovarica. 

«Quelle due settimane sono state le più impegnative fisicamente e anche per tutte le visite che dovevo fare di giorno in giorno. Dovevo andare dalla ginecologa e farmi analisi specifiche del sangue e mandarle subito a lei via WhatsApp con l'esito del laboratorio perché lei potesse controllare i parametri. Insomma, sono stati giorni molto intensi, poi il 20 luglio mi sono operata. L'operazione è stata la cosa più facile in tutto ciò, perché non ho avuto nessun effetto collaterale».

Un investimento per la propria libertà

«Quando mi sono svegliata dall’anestesia sono scoppiata a piangere perché non mi sembrava vero di avercela fatta. Poi sono andata in amministrazione e ho staccato un assegno di 3.500 euro, che non era ovviamente il costo totale, perché le visite e i farmaci mi sono costati altri 1.200 euro». 

Carlotta torna a casa e parte per il Cammino di Santiago, quello inglese. Poi arriva settembre e torna al lavoro.

«A oggi, dopo aver fatto questa cosa, sono una persona più serena. È stata una scelta difficile che ha portato a un dialogo familiare, non sempre semplice, perché mia madre inizialmente non ha compreso questa mia scelta. L’ha negata fino alla fine, perché aveva paura: la stimolazione ovarica ha dei possibili effetti collaterali e può aumentare il rischio di tumore al seno. Poi, secondo me, lei non aveva ben capito quanto per me fosse importante perché lei a 36 anni stava con mio padre da 15 e non si è mai posta il problema del “sono grande per avere dei figli”. Lei ha desiderato un figlio e questo è arrivato senza alcun problema». 

Nonostante io abbia un rapporto molto aperto con i miei genitori, il dialogo su questo tema è stato difficile. È stato paradossalmente molto più facile con mio padre. Anche lui era preoccupato, però mi ha capito.

Il covid era stato un momento economicamente difficile per Carlotta. Ma, proprio con questo obiettivo in mente, appena allentata la pandemia ha preso due incarichi in contemporanea, ha lavorato nei weekend e la sera tardi. 

«Ho accantonato con l’obiettivo di fare la conservazione degli ovociti. Questa spesa non si conclude con l’assegno che stacchi alla clinica perché per il primo anno nel pacchetto è incluso un anno di congelamento e per gli anni successivi paghi 120€ l’anno. E mi fa rabbia che tutto questo abbia un costo assurdo. È un’operazione per privilegiati. Solo se hai i soldi e puoi permetterti di fare diversi lavori hai questa possibilità. Per fortuna nel sistema sanitario questa pratica è prevista per malate oncologiche e per chi ha problemi di salute».

Le chiedo se ha mai temuto che fosse tutto inutile. Magari il giorno dopo avrebbe incontrato la persona giusta con cui concepire naturalmente un figlio…

«Certamente ho pensato anche “magari conosco qualcuno durante questo percorso”, ma ero talmente focalizzata su di me che, tra il lavoro e questo percorso, non avrei potuto certo conoscere qualcuno in quel momento. Ho fatto questa scelta in un’ottica di assicurazione della fertilità, ma spero di non usarli mai. Spero che se avrò dei figli sarà perché incontrerò una persona che desidera ciò che desidero io. Però magari tra tre anni cambio idea e capisco che non desidero una famiglia, oppure tra cinque lo farò da sola e andrò in Spagna a fare la fecondazione perché non ho un compagno. In questo modo ho tutte le possibilità aperte». 

In poche parole, con questi cinquemila euro Carlotta ha fatto un investimento sulla sua libertà.

Per questo penso siano i soldi meglio spesi. Tutto ciò che ho fatto da quel momento in poi, l’ho fatto con uno spirito diverso e sono veramente più serena. Sono una persona decisamente migliore di prima.

Adesso, per Carlotta, è il momento di volgere lo sguardo a nuovi obiettivi. Che poi sono gli obiettivi che l’hanno formata come persona.

«Adesso vorrei fare un viaggio. Vorrei andare in Giordania l’anno prossimo, ad aprile».


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