Il giorno in cui ho scoperto che c’era un altro modo di fare finanza

Fin da bambina, Arianna Magni osserva sua madre compilare a mano i quadernetti con le entrate e le uscite del mese. E ascolta sua nonna declamare principi di consapevolezza finanziaria sotto forma di proverbi popolari. Qualche anno dopo, quando la famiglia attraversa un momento un po’ difficile da un punto vista economico, ne viene messa a parte e decide di dare il suo contributo, coprendo il turno dell’alba nell’edicola che viene presa in gestione per avere un’entrata in più. La sua è una storia di socializzazione finanziaria piuttosto eccezionale nella cultura italiana, perché priva di ogni alone di mistero o di tabù attorno al denaro. E questa normalità delle conversazioni sui soldi le permetterà, da adulta, di fare il passo successivo rispetto ai suoi familiari. Cioè quello di lasciarsi alle spalle la loro mentalità conservativa in materia di risparmio e di divenire un’investitrice consapevole. Attenta sia ai rendimenti dei suoi investimenti sia al loro impatto positivo sul pianeta e sulle persone.

Questa storia è realizzata in collaborazione con Etica Sgr, una società di gestione del risparmio che propone solo fondi comuni di investimento sostenibili e responsabili.

 
Nella mia famiglia c’è sempre stata la tendenza a una gestione molto al femminile del denaro. Peraltro mi accorgo adesso, alla luce dei miei cinquant’anni, che tra le tante fortune che ho avuto c’è quella di una famiglia che era già avanti nei tempi. Tanto mia mamma quanto mio papà lavoravano fuori casa e quindi per me, da subito, fu normale avere una mamma che, a fronte del suo lavoro, era completamente indipendente.

Arianna Magni ha 53 anni. Oggi lavora nel campo della finanza etica. È responsabile dello sviluppo del business istituzionale e internazionale di Etica Sgr, una società di gestione del risparmio che propone solo fondi comuni di investimento sostenibili e responsabili. Ed è proprio con Etica Sgr che abbiamo realizzato questa storia, per capire cos’è e come ci si avvicina alla finanza etica.

Il quaderno dei conti della mamma

Arianna ha una storia di socializzazione finanziaria che, nella sua semplicità, suonerà piuttosto straordinaria ai frequentatori di Rame.

«Sono cresciuta a Sesto San Giovanni, che è una grande città alle porte di Milano, famosa soprattutto per essere medaglia d’oro alla Resistenza. Un tempo veniva definita la Stalingrado d’Italia perché credo fosse uno dei comuni italiani con la più ampia percentuale di voti dati al fu Partito Comunista».

La numerosa famiglia di sua mamma, che poteva fare affidamento solo sullo stipendio del nonno di Arianna, era emigrata a Sesto San Giovanni dal Veneto attorno agli anni ’30-’40. In casa, era sua nonna, abilissima contabile, a tenere i conti.

«Mio nonno portava a casa i soldi in contanti alla fine del mese e lei amministrava. Quindi metteva da parte quello che serviva per l’affitto, quello che serviva per il mangiare…». E quello che rimaneva, veniva accantonato.

La mamma di Arianna aveva iniziato a lavorare già a 16 anni, dopo le scuole dell’avviamento. E da allora non aveva mai smesso. Fin da giovanissima si era creata una sua indipendenza, al netto delle rigide regole a cui doveva sottostare.

Mia nonna, che era una specie di colonnello, esigeva la busta paga tutti i mesi. Quindi anche lei, che poi è vissuta con noi, ha avuto una parte fondamentale nel far crescere dentro di me la consapevolezza di che cosa fossero i soldi, a cosa servissero e come andavano in qualche modo gestiti.

Arianna fin da bambina osserva un rituale svolto da sua madre che sa di saggezza popolare ma che è l’abitudine base dell’educazione finanziaria.

«Mia mamma lavorava in un ufficio contabilità. Era una donna veramente molto precisa, brava nel suo lavoro. E lei anche a casa teneva un quadernetto, che poi sono tanti quadernetti per ogni anno, che io ancora oggi sfoglio con grande curiosità e ammirazione. Era tutto scritto a mano. Excel era ben lontano dall’essere inventato. Lei iniziava ogni mese, tipo aprile 1977, a segnare le entrate, che erano lo stipendio suo e di mio papà, le uscite fisse come i costi per l’affitto, la retta dell’asilo, e poi via via tutte le spese. Ogni uscita veniva meticolosamente registrata, così come ogni entrata. E quindi lì ho capito che cosa fossero questi numeri, perché ovviamente ho fatto delle domande».

La scoperta della casa in affitto

Tra le scoperte di quell’infanzia vissuta nella trasparenza assoluta delle finanze familiari, c’è quella di non essere proprietari della loro casa.

Noi abitavamo in una casa in affitto al pianterreno, avevamo un piccolo giardinetto e durante la bella stagione il giardino era mio, dei miei cugini, dei nostri amichetti. Un pomeriggio, con i gessetti, avevo scritto il mio nome sul muro. E mia mamma la sera mi aveva detto: ‘Queste cose non si fanno perché questa non è casa nostra’. E io: ‘Come, non è casa nostra?’ ‘Eh no, è una casa in affitto’, mi disse. Credo di essere stata veramente molto piccola e il concetto di affitto fu un piccolo shock.

Oggi, rileggendo il quaderno dei conti di sua mamma, Arianna ricostruisce i contorni di un’esistenza scandita dalla soddisfazione dei bisogni primari e impreziosita da qualche piccolo sfizio.

«Ogni tanto ci concedevano qualche lusso, che non tutte le mie compagne e compagni di scuola potevano concedersi, come una semplice pizza il sabato sera, per dire. O qualche vestito». La vera grande spesa era l’affitto di una casa in montagna d’estate, in Valsassina, ma per il resto erano tutte voci molto basiche.

I soldi in più servono per gli altri

Questo modo rispettoso di usare il denaro, un modo al tempo stesso praticato e raccontato, condiziona fortemente Arianna nella sua vita adulta.

«Sono sempre stata abituata a usarlo in modo giudizioso. Sono stata cresciuta con l’insegnamento che si fa fatica a guadagnare, che per mettere da parte qualche soldo, necessario per vivere dignitosamente, ci vuole fatica, ci vuole impegno e quindi il denaro non va sperperato».

Mia nonna, che aveva proverbi per tutte le occasioni, diceva ‘Chi non risparmia un centesimo, non vale un millesimo’. Del resto la posso capire: classe 1908, si era fatta due guerre, un po’ di fame, quindi la vita l’aveva sicuramente messa alla prova. Però questa cosa mi è rimasta. I soldi non vanno buttati, Perché, con quello che eventualmente ci avanza, abbiamo anche di che aiutare chi è meno fortunato di noi, che è un altro bell’uso che si può fare del denaro.

La donazione è una ritualità che Arianna onora fin da bambina, per quella consapevolezza, forse innata, che i soldi spesi per gli altri ci fanno ancora più felici. E oggi la condivide con suo marito.

«Oltre a delle donazioni ricorrenti che facciamo, se ci sono delle emergenze e delle calamità lui è il primo che mi dice: “Mi raccomando, stasera fai subito il bonifico”».


La squadra-famiglia di fronte alle turbolenze economiche

Ma torniamo all’Arianna ragazza. Che dopo gli studi al liceo classico, si iscrive a Scienze Politiche, forte del suo amore per la psicologia e la sociologia. Un percorso che non ha niente a che fare con la finanza.

La cosa buffa è che, finita la maturità c’era il boom della facoltà di Economia. Io avevo fatto l’esame di ammissione, ma a me l’economia proprio non piaceva. L’avevo passato, ma era la prima facoltà che avevo scartato.

Nei primi anni di università, Arianna ha il grande privilegio di potersi concentrare sullo studio, senza bisogno di fare lavoretti per mantenersi. A un certo punto, però, arriva una piccola turbolenza nella vita familiare. Sua mamma ha smesso di lavorare per occuparsi della nonna anziana e suo padre si è messo in proprio: progetta impianti per la lavorazione del legno. Una spesa imprevista, che si aggiunge all’università privata che sta frequentando Arianna, ha l’effetto di un piccolo shock finanziario.

«In casa mia c’è sempre stato un grande dialogo. Mi era chiaro che serviva l’aiuto di tutti per superare quel momento un po’ difficile e quindi, senza particolari ansie, abbiamo fatto squadra e ci siamo impegnati in quell’avventura. Così abbiamo saltato l’ostacolo tutti insieme».

L’avventura è un’edicola che viene presa in gestione per tre anni proprio per aumentare le entrate. E tutti e tre si impegnano a portarla avanti. Anche lei, che si ritaglia il turno dell’alba.

«Per una persona come me che ha una grandissima voglia da sempre di leggere libri, riviste, quotidiani, fu una manna. Al di là dello sforzo di alzarsi la mattina presto, una volta che avevo messo a posto tutto e preparato la mia resa, nelle giornate come per esempio il lunedì, dove non c’erano grandi uscite, io avevo un sacco di tempo per leggermi veramente qualunque cosa».

 

La scoperta della finanza etica

Se anche tu, come me, ti stai chiedendo come sia finita Arianna con la sua passione per la psicologia e la sociologia, a lavorare in Finanza, la risposta è la più comune: il caso. Finita l’università, Arianna sogna di scrivere, così fa uno stage al Sole 24 Ore. Da lì, l’opportunità di un primo lavoro in una startup che si occupa di fondi comuni di investimento. Ed è lì che comincia a interfacciarsi con Etica sgr, una società di gestione pioniera degli strumenti etici. All’improvviso la finanza, che aveva respinto alla fine del liceo, perché lontana dai suoi valori e dal suo modo di stare al mondo, assume contorni nuovi.

Ho scoperto che c’era un altro modo di fare finanza, basato ovviamente sui numeri, ma era una finanza che aveva un senso, che poteva aiutare il mondo intorno a noi a prendere una svolta migliore. Il denaro di per sé non è né buono né cattivo, dipende dall’uso che ne fai. E ci sono strumenti, da tanti decenni, con i quali fare una finanza buona.

«Alla fine tutti noi risparmiamo e investiamo allo scopo di far rendere il piccolo grande gruzzoletto che abbiamo da parte. Ma questo lo si può fare in tanti modi, anche investendo in realtà che non solo non arrecano danni all’ambiente o alle persone, ma anzi hanno un impatto positivo sul pianeta, sulle persone, su quello che ci circonda».

Una nuova vita da investitrice

Per quanto in famiglia Arianna abbia vissuto nella totale trasparenza finanziaria, è comunque stata immersa in una cultura conservativa in tema di investimenti.

«I miei genitori, all’epoca, come credo la stragrande maggioranza degli italiani, si affidavano a quello che le banche proponevano. Erano gli anni d’oro dei Btp, dei Cct, dei guadagni con tanti zeri e con tante cifre… andavano di fiducia. Oggi è un po’ diverso, farsi seguire da un consulente secondo me è la prima cosa, ma se lo fai avendo comunque tu delle competenze è sicuramente meglio. Hai degli strumenti in più per capire quello che stai facendo».

A 25 anni, con il suo ingresso nel mondo della finanza dalla porta del lavoro, Arianna inzia a investire. Non lo fa in prima persona ma si affida a un gestore. Non compra azioni direttamente, ma solo fondi, ovvero prodotti finanziari con una diversificazione già al loro interno.

«Comprare un titolo è qualcosa che non mi ha mai interessato. Non ho voglia di mettermi lì freneticamente. tutti i momenti a dire: “Compra, vendi, compra, vendi”. Mi affido. Mi sono sempre affidata a dei gestori che fanno questo di mestiere e che all'interno di un prodotto che si chiama fondo comune, che è come se fosse un grande salvadanaio, fanno tutte le scelte di diversificazione che ritengono necessarie. Tanto mi basta».

Benché il concetto di investimento non appartenesse alla cultura familiare, Arianna ha acquisito subito il mindset giusto.

Quando ho avuto qualche soldino in più da parte ho investito, ma sapendo che quell’investimento riguardava soldi che non avrei toccato almeno per i successivi cinque anni. E quindi, per esempio, nelle fasi come lo scorso anno, di mercati particolarmente negativi, non ho l’ansia di controllare il saldo, il portafoglio tutte le settimane, tutti i mesi, perché sono consapevole che i mercati azionari sono così. Non ci facciamo prendere dal panico. Sappiamo che i mercati miglioreranno. È sempre stato così nel corso della storia.

Oggi Arianna, con suo marito, ha mantenuto la pratica della gestione finanziaria appresa nella sua giovinezza, ma a parti invertite.

«Si sono ribaltati i ruoli rispetto al passato. Perché è mio marito che tiene la contabilità familiare, in una maniera che mi ricorda quella di mia mamma negli anni ’70 e l’80, la differenza è che lei aveva un foglio di carta e lui invece un fantastico programma. Però è tutto gestito da parte sua».

Le cose cambiano quando si parla di pianificazione finanziaria più alta. Di obiettivi di vita tradotti in scelte di soldi.

«In questo, ricalco quello che ho visto fare in casa mia prima di sposarmi: c’è una condivisione e un confronto. Ovviamente mio marito dice la sua ma vuole prima di tutto sentire la mia. Lui ha idee molto chiare su tutto, su quella che è la pianificazione, su quelle che sono le spese. Ma se dobbiamo prendere una decisione su un finanziamento, un investimento o altro, ne parliamo sempre insieme».

Questa puntata è stata realizzata in collaborazione con Etica Sgr.

Ascolta questa storia in podcast:

 

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Giacomo Traldi

Giacomo Traldi is a freelance graphic designer. His work focuses on both print and digital editorial projects, visual identities and video making. Based in Milan, he has collaborated with Studio FM Milano, Leftloft, Tomo Tomo and the publishing houses Periodici San Paolo and Mondadori. He studied Communication Design at Politecnico di Milano and at Rhode Island School of Design.

https://www.giacomotraldi.com
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