Che valore attribuiamo al nostro denaro?

Qualche settimana fa abbiamo fatto un piccolo esperimento sociologico. Abbiamo postato sulla nostra pagina Instagram una frase pronunciata da Jannik Sinner durante un’intervista, in cui il campione altoatesino racconta che prima di comprare qualcosa guarda sempre il prezzo. Quando è al ristorante, Jannik sceglie sempre il piatto più economico, e tra ragù e pomodoro vira sul secondo, perché - sostiene - la sua è una forma di rispetto per il denaro. Il fatto che uno dei più grandi tennisti al mondo, uno che dietro la porta di casa ha una fila di sponsor che chiedono solo di pagarlo milioni, guardi i prezzi del menù al ristorante, non è notizia che lascia indifferenti. E poco importa che il tennista azzurro provenga da un piccolo paese dell’Alto Adige, ami la vita semplice e abbia appreso dal padre cuoco e dalla mamma cameriera “la cultura del lavoro, l’impegno e l’umiltà”, come scrivono di lui i giornali.

Il giusto acquisto esiste? 

La citazione è diventata sulle nostre pagine lo spunto per parlare del valore del denaro, e di come ciascuno di noi attribuisce un prezzo alle cose. «Se posso permettermi qualcosa che costa di più, e la preferisco, perché sarebbe una mancanza di rispetto, se io i soldi li guadagno onestamente?», si chiede Peppo in un commento. E se tanti confessano di dare sempre un occhio al cartellino, sono molti di più coloro che considerano il risparmio “a tutti i costi” un gesto che non ha senso, se la tua dichiarazione dei redditi dice che puoi permetterti ben altro. E poi c’è lo spinoso tema del valore delle cose, che diversi hanno posto: comprare l’oggetto in assoluto più economico può non essere la scelta migliore per noi, e di sicuro non è quasi mai la più etica.

Il value for money la regola delle “4 e”

Ma allora qual è il senso del denaro, e che valore dovremmo attribuirgli? Se prendiamo in prestito il concetto del “value for money”, adottato in diversi ambiti economici e finanziari, scopriremo che il rapporto costo-qualità di un prodotto è essenzialmente un mix su quattro elementi: economia, efficienza, efficacia ed equità. Per valutare se ci conviene investire denaro in un bene o in un servizio, non dovremmo quindi limitarci a prendere in considerazione il solo prezzo di acquisto, ma tutte le sue caratteristiche, estendendo il ragionamento ad altri aspetti: per esempio se l’utilizzo di quel bene comporta altre spese, se risponde ai nostri bisogni, senza trascurare gli aspetti etici. Ciò non toglie che, per quanto giusta sia, se una cosa non posso permettermela non ha senso indebitarmi. Il buon senso porterebbe ad aggiungere nella lista degli aspetti da tenere in conto la nostra situazione di partenza. Dunque, se volessimo dare veramente valore al denaro dovremmo decidere anche sulla base delle nostre possibilità economiche.

Quanto conta il vissuto

Troppo semplice, però. Tutti noi sappiamo che nelle nostre decisioni finanziarie entrano in gioco decine di componenti, dall’educazione che ci hanno impartito a ciò che abbiamo visto e ascoltato in famiglia, dalle nostre esperienze all’atteggiamento che abbiamo imparato da assumere nei confronti dei soldi quando eravamo bambini, un mix tra regole imposte e valutazioni inconsce. È la ragione per cui, per esempio, gli esperti di educazione finanziaria ci dicono di parlare di soldi ai bambini in un certo modo, e di insegnare loro sin da subito a gestire il denaro in modo corretto.

Il “problema” dei cassetti mentali

Anche se gli insegnamenti ricevuti fossero impeccabili, poi, questo non basterebbe a evitare quelli che la finanza chiama errori comportamentali, che influiscono di volta in volta sul modo di spendere il nostro denaro e di dargli significato. La scienza ha scoperto che tutti noi trattiamo il denaro in modo diverso a seconda della sua origine, per via di una distorsione che si chiama contabilità mentale, una scorciatoia che il nostro cervello imbocca per prendere decisioni finanziarie in poco tempo. Se troviamo 300 euro per strada, non le tratteremo allo stesso modo di 300 euro guadagnate dopo ore di straordinari sul lavoro. È lo stesso fenomeno per cui - un dato dimostrato - quando compriamo con la carta di credito non solo spendiamo di più, ma siamo anche disposti a pagare di più per gli stessi beni: banalmente, non vediamo contanti uscire fisicamente dalle nostre tasche. Secondo gli studiosi, è come se dividessimo i soldi a nostra disposizione in comparti, e a ogni “cassetto” associassimo un comportamento diverso. 

Questione di sensazioni

Nessuna scienza sa darci la formula per attribuire il giusto valore al denaro, forse perché ciascuno ha la propria. Quello su cui, invece, molti concordano, è che per capire come usare le risorse a disposizione nel modo migliore per noi, dovremmo andare più in fondo, guardare dentro noi stessi. Come scrive Susan McCarthy in The value of money: «Il mondo del denaro è un mondo di emozioni, un palcoscenico sul quale recitiamo tutti i nostri drammi. (...) Il denaro è uno dei nostri più grandi insegnanti». Di recente, alcuni studiosi hanno confermato la relazione tra soldi e felicità. Scoprendo che sì, questi possono regalarci benessere, ma solo se utilizzati secondo determinati criteri. E che l’uso più corretto che potremmo farne, attribuendogli il giusto valore, è utilizzare le nostre risorse per ciò che ci gratifica davvero. «Prima di usare il nostro denaro, ragioniamo sempre su cosà ci procurerà dopo l’oggetto e l’esperienza su cui stiamo investendo. Evitiamo di comprare qualcosa di cui faremo fatica a occuparci, che genera problemi o che ci obbligherà a fare qualcosa contro la nostra volontà» scrive la psicologa Elena Carbone sulle pagine di Rame. Scegliamo di impiegare una parte dei nostri averi per stare davvero bene, ci suggeriscono i money coach. Potrebbe non essere la pasta al pomodoro. Dopotutto, diceva Andy Warhol: «Sprecare soldi mi fa stare bene come se fossi a un party».



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