I soldi sono il filo che tiene unita la mia famiglia
Lorenzo cresce negli anni Novanta in un paese di provincia, con la paura di confessare ai suoi di essere gay. I genitori lo scoprono per vie traverse e non riuscendo ad accettarlo in nessun modo, decidono di ignorare completamente quella parte della sua identità. Mentre in casa il silenzio avvolge tutto ciò che riguarda la vita emotiva, Lorenzo si laurea e va a vivere da solo, trova un lavoro a Bergamo e poi a Milano. I genitori sono sempre al suo fianco. Gli pagano gli studi. Gli puliscono la casa e gli fanno il bucato. E anche quando diviene indipendente economicamente, approfittano di ogni occasione per fargli la spesa, riempirgli il serbatoio dell’auto, oppure rimborsargli gli acquisti extra come il computer nuovo. Lorenzo li lascia fare, perché gli fa comodo, certo. Ma anche perché capisce che i soldi sono l’unico modo che hanno trovato per esprimergli il loro affetto. L’unico filo che li tiene ancora uniti. E chissà, magari un giorno riusciranno anche ad accettare ogni parte di lui…
La casa gliel’hanno praticamente regalata. Ma quella che per Lorenzo è una forma di riconoscenza diviene da parte loro un esercizio di possesso. Che lui fatica a contenere perché i soldi, e tutto ciò che gira intorno a essi, da anni, è l’unica relazione che riesce ad avere con i suoi genitori.
Un’infanzia a tasche vuote
Lorenzo Gerli cresce a Cuggiono, paese in provincia di Milano. È figlio unico. Mamma insegnante alle medie e papà che si occupa del controllo di qualità in aziende tessili.
All’università, benché appassionato di comunicazione, Lorenzo non tenta neppure l’esame di ammissione al Politecnico e si iscrive a Economia all’Università Cattolica seguendo le indicazioni dei genitori.
«In realtà, era tutto nato dalla visione che loro avevano per me. Mi ricordo di questa frase che mi avevano detto: “Anche se riuscirai a passare il test d’ingresso, e comunque non ce la farai, è un lavoro in cui non sei capace e non hai prospettive”. Un discorso del genere, a 18 o 19 anni, un po’ di paura te le getta addosso».
A Lorenzo, in realtà, i numeri piacciono. Tutto il mondo della contabilità, dei bilanci, della statistica è un puro godimento per lui. È il diritto che proprio non sopporta. E così alla metà del terzo anno di Economia decide di mollare l’università. Anche perché nel frattempo ha trovato un lavoretto come grafico autodidatta in una redazione giornalistica. In casa non succedono particolari drammi per questo abbandono. C’è un’altra questione a tenere banco.
Il coming out rubato
«Era un momento in cui c’era un po’ di turbinio. Non dico che stavo prendendo coscienza di me come omosessuale, ma stavo prendendo coscienza del fatto che non mi potessi tenere tutto dentro».
È il 2008. Lorenzo ha 23 anni, ha già fatto coming out con alcuni amici, ha anche un fidanzato stabile, ma ha ancora molta paura di dirlo ai suoi.
«Ancora adesso, nel 2023, abbiamo un enorme problema di rappresentazione di tutta la cultura queer, figurati negli anni ’90, quando la rappresentazione televisiva, se c’era, era comunque assolutamente esagerata e macchiettistica.
In fondo, Lorenzo nutre la speranza che quella conversazione non vada così male. Non è però lui ad avviarla né a stabilirne i tempi. Quell’estate, mentre è in Grecia con il suo fidanzato e tanti altri amici per il matrimonio di uno di loro, c’è un suo conoscente che fa outing, cioè che rivela l’omosessualità di Lorenzo ai suoi genitori.
«Io non ho avuto modo di gestire la conversazione con loro su questo fronte. Quando sono ritornato a casa è stato tutto abbastanza esplosivo».
L’abbandono di Economia si colloca più o meno in questo momento e Lorenzo fatica a ricordare cosa sia successo prima e cosa dopo.
«Mi avevano anche mandato da uno psicologo, credendo di curarmi, ma di fatto è un percorso che ho intrapreso perché ne avevo bisogno. E quando lui mi ha chiesto di poter parlare con i miei genitori, loro sono usciti da questo incontro sconvolti, chiedendomi scusa per la persona da cui mi avevano mandato. Essendo una cosa che pagavano loro, non ho più continuato. Fortunatamente in quei mesi mi aveva aiutato a sbloccare determinate cose. Mi ricordo comunque di questa conversazione con i miei in cui ho detto loro: “Guardate che l’Organizzazione mondiale della Sanità è dal 1984 che ha detto che non siamo malati. Quindi cosa vi aspettavate da un medico iscritto ad un albo?”».
A quel punto Lorenzo parla chiaro con i suoi genitori:
Affetto sotto forma di soldi
Mentre in famiglia il silenzio avvolge tutto ciò che riguarda la sua vita emotiva, Lorenzo tenta il test al Politecnico e riesce a entrare. Inizia così a studiare e a lavorare contemporaneamente. In una folle routine difficile da spiegare, dal momento che i suoi genitori continuano a pagargli le rette universitarie oltre a non negargli mai nulla.
«C’era la possibilità che si verificasse il caso peggiore: essere cacciato fuori di casa. Forse, inconsapevolmente, questo era il motore che mi ha sempre spinto ad avere un rapporto coscienzioso con i soldi, a iniziare a lavorare, a tentare di tenere da parte i soldi, a spendere il giusto senza esagerare».
Da parte sua, Lorenzo non ha fretta di uscire di casa. Frequenta un ragazzo e spera un giorno di andare a vivere con lui. Ma le cose vanno diversamente. La storia finisce e a lui viene proposto un lavoro in un’agenzia a Bergamo.
Lorenzo all’inizio non si oppone a questa loro presenza nella sua vita. Da una parte per un motivo egoistico: «Comunque fa comodo avere mamma che ti sistema casa, perché puoi stare due giorni a pulire tutto e non sarà mai perfetto e splendente come un’ora sua di rassetto».
Dentro di lui, però, c’è un’altra fiammella di speranza accesa: «Non è che magari è il loro modo, forse l’unico modo che stanno trovando per dimostrarmi che a me ci tengono. E magari può essere il passettino per migliorare il rapporto».
Lorenzo può ormai mantenersi da solo, non ha bisogno di soldi eppure i suoi genitori non si arrendono a chiudere quella forma di connessione con lui.
«Quando venivano, c’era sempre il momento “andiamo a fare la spesa”, con le litigate in cassa perché mio padre voleva essere il primo a tirar fuori il bancomat. Oppure, mentre io e mia madre eravamo in casa a sistemare, lui prendeva le chiavi della macchina e andava a far benzina, anche se magari il serbatoio era a 3/4. Quando mi si è rotto il computer, e ne ho dovuto prendere uno nuovo, avevo i soldi per pagarlo, ma hanno voluto a tutti i costi farmi un bonifico».
Dopo due anni e mezzo a Bergamo, Lorenzo riceve un’importante offerta di lavoro a Milano, dove si trasferisce.
«E lì sono ripartite le loro meccaniche, come quelle di Bergamo, un attimo più pesanti, visto che ormai ci separavano solo 22 minuti di auto. E sono iniziati pure i discorsi su quanto fosse folle buttare via soldi in affitto e che dovevo iniziare a pensare al mio futuro e a cercare casa».
Ora, comprare casa, a Milano, è l’equivalente di un lavoro. Non si fa in tempo a vedere un annuncio che l’appartamento è già stato venduto. I genitori di Lorenzo se ne fanno carico in toto.
«Alla fine è stata mia madre che ha trovato questo progetto bellissimo. Sono andati loro a fare il primo incontro con il costruttore senza neanche dirmelo. E dopo che avevano capito che era bella, mi hanno detto: “Abbiamo visto questa casa che secondo noi ti piace. Dacci subito risposta perché chiamiamo per fissare un altro appuntamento”».
Con l’acquisto della casa da parte dei genitori, però, quelle che erano meccaniche relazionali sostitutive di una intimità che non riuscivano a reggere, divengono vere e proprie dinamiche di possesso, aggravate dal fatto di avere una seconda chiave dell’appartamento.
L’eredità inaspettata
I piccoli battibecchi quotidiani divengono scontri sempre più duri. Finché Lorenzo arriva a una vera e propria resa dei conti: «“Forse è il caso di ricordarci di tutto ciò che è successo nel 2008 e che continuate a ignorare dopo 15 anni. Voi state ancora facendo finta che una parte di me non esista. E se questo è il rapporto che volete avere, a me non sta bene e non sentiamoci mai più. Ridatemi le chiavi. Non permettetevi più di fare ciò che volete a casa mia. Soprattutto, cosa farete se e quando avrò un compagno con cui deciderò di passare il resto della mia vita. Lo ignorerete? Vi presenterete comunque a casa in cui magari vivremo entrambi?”».
Neppure questo tentativo va a buon fine. I genitori smettono di sottrargli il bucato, di entrare a casa sua in sua assenza, ma ancora non aprono le porte alla sua vita affettiva. Il filo che li collega è sempre più sottile…
A legarli, infatti, è un’altra attività economica. A un certo punto Lorenzo si è ritrovato con un gruzzoletto di risparmi e ha deciso di iniziare ad investire.
«E così da quel momento sono iniziati i giri con mia madre. I suoi messaggini periodici: “Hai messo da parte qualcosa? Guarda che stanno uscendo questi titoli; guarda che questo è sceso di prezzo, potrebbe essere conveniente”. I suoi appunti presi a mano e poi fotografati col telefono…».
Sua madre si informa direttamente sul sito di Borsa Italiana. Suo padre da anni gestisce il suo protafogli titoli con un programmino che si è creato. Oggi, che gli è ben chiara la distanza che lo separa dai valori e dalle convinzioni dei suoi, Lorenzo riscopre in sé una eredità molto netta su questo aspetto dell’esistenza.
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