La salute delle donne costa di più

Ogni donna paga un costo nascosto per il sol fatto di appartenere al suo genere. Una delle voci più importanti di questo costo riguarda la salute. La maggiore longevità, unita a una maggiore vulnerabilità alle malattie che portano a dolore cronico, spesso non riconosciute nei luoghi di lavoro, e con diagnosi più faticose perché gli studi clinici per secoli le hanno escluse dalle ricerche, tutto ciò fa sì che le donne spendano per le cure molto più degli uomini.

Le donne vivono più a lungo

Da uno studio condotto nel 2021 a livello internazionale e pubblicato sulla rivista inglese The Lancet Health Longevity emerge che le donne godono di un’aspettativa di vita che supera di quasi cinque anni quella degli uomini. La radice di questo fenomeno è oggetto di studio scientifico ormai da anni, e si ipotizza che il maggiore livello di anticorpi e la conseguente iperattività del sistema immunitario, giochi un ruolo fondamentale (fonte Evolutionary Applications, 2021). Tuttavia, questa estensione di durata non sempre si traduce in una migliore qualità di vita e può presentare diverse sfide per le donne.

Partiamo dal fattore cura: nel contesto delle coppie eterosessuali, la donna ha maggiore probabilità di trascorrere gli ultimi anni di vita senza un partner, prendendosi la responsabilità solitaria della cura di familiari malati o disabili. Ciò può generare un peso mentale significativo, spesso associato all’isolamento sociale. Un altro aspetto del gender gap nell’invecchiamento riguarda le differenze socioeconomiche: le donne, a causa di interruzioni di carriera per maternità o per prendersi cura dei familiari, potrebbero affrontare una maggiore vulnerabilità in ambito economico. Senza dimenticare che l’occupazione a tempo parziale, spesso scelta da molte donne per bilanciare lavoro e responsabilità familiari, può contribuire a una significativa riduzione del reddito.

Le cure e la prevenzione sono più costose

Un’altra sfida importante riguarda il contesto sanitario: le donne infatti risultano più suscettibili a sviluppare malattie autoimmuni, il che può avere un impatto significativo sulla loro salute complessiva oltre che un aumento dei costi dell’assistenza sanitaria. Inoltre, la natura cronica di queste malattie le trasforma presto in “compagne di vita”, rendendo le giornate di chi ne soffre una lotta continua contro dolori e fastidi, e spesso, porta anche alla comorbidità, e cioè alla comparsa di altre patologie correlate.

Le donne dedicano più risorse alla cura della propria salute, con check-up annuali fin dall’adolescenza, visite ginecologiche e numerosi screening. Si rivolgono più frequentemente ai medici rispetto agli uomini: tuttavia, questa attenzione alla salute e alla prevenzione si traduce in tempi diagnostici più lunghi, in parte attribuibili a un pregiudizio di genere radicato nella storia. Nel corso dei secoli, le donne sono state scarsamente rappresentate negli studi clinici, con un approccio che le considerava meno adatte degli uomini a causa di variabili come il ciclo ormonale. Questo approccio ha avuto un impatto molto negativo sulle diagnosi e sulla conseguente assistenza sanitaria. Spesso accade, soprattutto quando si tratta di malattie croniche, che il dolore venga associato a una eccessiva emotività, e non come sintomo di una possibile malattia; e che per questo, venga curato tramite la somministrazione di tranquillanti e antidepressivi, che non fanno altro che peggiorare la situazione. Fortunatamente però, la consapevolezza sul tema, sta pian piano crescendo: nel 2018 è stato istituito l’Osservatorio sulla medicina di genere, che ogni giorno lavora per una medicina e una ricerca più inclusiva e paritaria.

Molti malesseri femminili non sono riconosciuti dalle aziende

Il prezzo che le donne pagano si riflette anche sull’impatto della produttività, con il cosiddetto “presentismo” che colpisce le donne affette da malattie croniche. Questo termine indica l’imposizione di andare a lavoro nonostante il malessere che si verifica, non solo quando si soffre di qualche disturbo, ma anche durante il ciclo mestruale, la menopausa o percorsi di cura per problemi di infertilità. La difficoltà di queste situazioni può portare a scelte difficili, con donne che sono costrette a lasciare il posto di lavoro, generando una perdita di talento femminile determinata soprattutto da una mancata attenzione alle differenze di genere. A confermare la criticità del contesto è lo studio My Migraine Voice, realizzato a livello internazionale sulle persone che soffrono di emicrania, che rivela come questa patologia abbia impatti negativi sulla produttività lavorativa, provocando il 15,5% di assenteismo e il 45,3% di presentismo. Questi dati sono ancora più preoccupanti se si considera che l’emicrania colpisce soprattutto le donne e in partiolare tra i 35 e i 45 anni, la fase della vita in cui si è al massimo della produttività. Risulta quindi fondamentale riconoscere e affrontare il gender gap nella conversazione su questi argomenti, anche sul posto di lavoro, attraverso interventi che tengano conto del fatto uomini e donne hanno caratteristiche differenti.

Le patologie di dolore genito-pelvico sono le più costose

Come dimostra la presentazione di un disegno di legge al Senato nel 2022 per il riconoscimento di vulvodinia e neuropatia del pudendo da parte del Sistema sanitario nazionale, una donna affetta da vulvodinia spende dai 20 ai 50mila euro nell’arco del percorso diagnostico-terapeutico complessivo. Ciò dipende dai lunghi tempi diagnostici, che possono estendersi fino a 12 anni, e che portano a spese continue per visite mediche private, specialisti e nuove terapie, tutte a carico delle pazienti. La radice del problema è la scarsa inclusione di queste patologie nei programmi di studio medico, con i medici che faticano ancora a riconoscerle. Patologie di dolore pelvico includono vulvodinia, neuropatia del pudendo, endometriosi, adenomiosi, vaginismo, vestibulodinia, cistite interstiziale e dolore pelvico miofasciale.



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